Diavù, David Vecchiato si racconta nell’intervista su Secondo Piano Scala B

David Diavù Vecchiato è tra i più noti e attivi street artist italiani.

È presente sulla scena editoriale e creativa dagli inizi degli Anni Novanta. Oltre ad aver pubblicato numerosi fumetti, copertine e illustrazioni (su La Repubblica, La Repubblica XL, Frigidaire, Blue, Il Cuore, Alias, Linus, Rockstar, Rumore), la sua prima partecipazione a una esposizione collettiva è del 1996 all’Happening Internazionale Underground di Roma e Milano, che gli ha dedicato la prima personale nel 2002.
Numerose le mostre in Europa, Asia e negli Stati Uniti. Ha realizzato una personale per La Triennale di Milano/OFF e, tra le collettive, ha esposto al Museion di Bolzano, al Madre di Napoli e in altri musei italiani e internazionali.
Alterna l‘attività visual e curatoriale alla musica. È consulente di collezionisti privati e direttore artistico del progetto Mondopop, che promuove artisti di tutto il mondo vendendo opere e producendo mostre, performance, installazioni ed eventi live. Cura il Festival itinerante di Urban Art, Lowbrow e Pop Surrealism “Urban Superstar Show”.
Dal 2010 è curatore del progetto di Street Art MURo Museo Urban di Roma, museo a cielo aperto da lui ideato e dal 2015 collabora con Sky Arte.
Dal 2016 è ideatore e curatore del progetto GRAArt per conto di ANAS, progetto di Urban Art realizzato a Roma e patrocinato dal MiBAC.
Insegna Fenomenologia delle Arti Contemporanee all’Istituto Europeo di Design di Roma.

Ci puoi raccontare le ultime esperienze di cui ti sei occupato? Quali sono i progetti che segui attualmente?
In questi giorni ho terminato dei murales nel territorio del Municipio VII di Roma che fanno parte del MURo Festival, un progetto che prevede murales di artisti italiani e internazionali, 2 rassegne di documentari, 4 tavole rotonde e una mostra, in un calendario che va da aprile a novembre 2019. MURo (Museo di Urban Art di Roma) è il progetto di Arte Urbana che ho avviato nel quartiere Quadraro dieci anni fa e che si è poi ampliato in tutta Roma, dal quale è nata l’Associazione omonima che fa arte in tutta Italia e l’omonima serie di documentari TV sulla Street Art che ho curato per Sky Arte. Dopo tanti anni di produzioni artistiche a contatto con la strada – ovvero in relazione con la quotidianità delle persone – ci siamo decisi di affrontare pubblicamente alcune tematiche che ruotano attorno al fare arte negli spazi pubblici e condivisi, e abbiamo deciso di farlo coinvolgendo membri di istituzioni italiane e internazionali e vari studiosi tra storici dell’arte, restauratori, avvocati, ecc.

Facendo un passo indietro nel tempo, qual è stata l’urgenza che ti ha “mosso” in particolare verso la street art, rappresentando per buona parte il mondo del Cinema? Cosa ti deve colpire quando scegli il soggetto, quando crei un personaggio cinematografico o racconti una storia?
Verso la Street Art mi ha spinto l’esigenza di essere artista in modo differente dalla figura stereotipata degli artisti del Novecento. Non volevo insomma fare la mia arte da una specie di Olimpo distante dalla quotidianità delle persone comuni – comuni come lo sono anch’io – in cui l’artista-genio crea solo per frequentatori di gallerie e musei in grado di capire ed interpretare le sue produzioni. Più del mercato dell’Arte Contemporanea di prestigiose fiere e gallerie a me interessa che la mia arte sia alla portata di tutti, anche a costo di adattare la mia ricerca stilistica per andare incontro a una più semplice comprensibilità, perché credo fortemente nel potere politico dell’arte. E l’arte in strada può essere potente se un’opera diviene un simbolo. Per farti un esempio, ho iniziato a dipingere attori e registi in strada nel 2014, proprio quando un comitato di quartiere, a Torpignattara, ha chiesto a me e MURo di realizzare opere di Street Art in grado di stimolare la riapertura di un edificio enorme chiuso da decenni, lo storico Cinema Impero. Scelsi di dipingere Pasolini, Anna Magnani, Mario Monicelli e i fratelli Citti in un territorio che è stato il set urbano di molti loro film, e su un cinema oggi chiuso che molti di quei film li ha proiettati. Abbiamo così richiamato in strada giornalisti, amministratori locali e ci fu una diretta tv della Rai, e tutto ciò accese i riflettori su quel luogo aiutando a stimolarne la riapertura. Ora è un’importante scuola di Teatro, e presto riaprirà anche la sala cinema.

Cosa ti affascina maggiormente della street art? Perché è un linguaggio che cattura l’attenzione di persone e personalità molto diverse tra loro?
La Street Art è effimera, nel senso che negli anni scompare dal muro su cui è dipinta e non ne resta traccia. È impermanente, proprio come noi. Eppure viene continuamente fotografata e diffusa in tutto il mondo in modo capillare tramite web e social network. Questa apparente contraddizione mi affascina. Ma mi affascinano anche le reazioni delle persone di fronte alle opere, dalla sorpresa alle critiche, dalla curiosità alle lodi, fino alle contestazioni, c’è sempre molta vita attorno alla realizzazione dei murales. È un’arte che crea un dibattito pubblico che difficilmente altre pratiche ed espressioni artistiche riescono a provocare.

Hai lavorato e lavori con molti giovani universitari. Qual è il loro approccio verso l’arte, a tuo avviso?
Generalizzando direi che subiscono più il fascino della Street Art che dell’arte in genere, perché un artista che è sospeso a decine di metri su un palazzo a dipingerne la facciata o che agisce anonimamente di notte lasciando tracce di sé nelle strade della città , è un esempio di libertà che attrae la curiosità dei più giovani. Ma questo a volte è solo un elemento di attrazione e, in realtà, sono molto interessati anche alle diverse tecniche usate nell’arte urbana e ai diversi motivi per cui la faccio. Da parte mia cerco di lavorare il più possibile in progetti e contesti in cui sono coinvolti studenti di ogni età, perché credo che la formazione e la crescita stessa di un individuo non possano prescindere dall’acquisizione di un proprio senso estetico e dalla conoscenza dell’arte.

Parlando del film “Secondo Piano Scala B”, su quale media ti piacerebbe vederlo (cinema, TV, web) e perché?
Il medium è il messaggio” dice la celebre massima di McLuhan, dunque se si ampliano i media di fruizione di un prodotto si rende più trasversale anche il messaggio di cui è portatore? Chissà, nel dubbio dovremmo poter vedere ormai i film su ogni mezzo tecnologico possibile, anche se io personalmente ti confesso che non amo gli schermi piccoli (smartphone, tablet…) perché mi piace essere avvolto dalle immagini più che tenerle in una mano. E forse anche per questa ragione dipingo grandi opere in strada. Dallo schermo del cinema a quello di un drive in, fino alla proiezione sulla facciata di un palazzo, ecco, questi sono i mezzi sui quali preferirei vederlo.

Ultima domanda: in cosa è stra-ordinaria la tua vita? Quale aneddoto o episodio o evento vissuto ti ha fatto pensare di aver raggiunto un traguardo?
In campo professionale penso di aver raggiunto diversi traguardi, ad esempio importanti committenti o collaborazioni prestigiose e soddisfacenti, ma siccome credo che l’arte sia fondamentalmente relazione, uno dei momenti più intensi del mio lavoro è stato quando nel 2013 ho conosciuto Sisto Quaranta, un uomo che fu deportato dai nazisti assieme ad altri 946 giovani e adulti del Quadraro il 17 aprile del 1944 e miracolosamente tornato vivo. Un paio di anni fa ho dipinto un murale con Sisto, a pochi mesi dalla sua morte. Per il resto non sono mai veramente soddisfatto nel lavoro, mi piace cercare di fare qualcosa di diverso in ogni nuova opera e progetto – soprattutto perché mi annoia ripetermi – quindi ad ogni opera cerco di spostare la mia ricerca un passo più in là, a costo di deludere chi si affeziona a una visione che ha di me e del mio lavoro, e vorrebbe appiccicarmela addosso come un’etichetta per vedere prodotto da me sempre quel tipo di immaginario. Ciò che rende davvero stra-ordinaria la mia vita però non è il lavoro, sono le persone che ho attorno e che amo.

Immagine di copertina: “Appia-Latina”, progetto MURo mARkeT (Mercato Menofilo, via Menofilo/via Lagonegro. Quarto Miglio, Roma).

“Close your eyes and make a wish, open them and go for it”, Barbara Braghin, personal trainer

Close your eyes and make a wish, open them and go for it
Barbara Braghin
è una personal trainer italiana che da anni vive a Los Angeles, e che ha fatto della sua passione un lavoro, grazie al quale incontra personalità piuttosto speciali, come Mr. Arnold Schwarzenegger! Leggiamo la sua intervista.

Il film “Secondo Piano Scala B” racconta la storia di 5 protagoniste che hanno caratteristiche molto diverse fra loro: una è accomodante, una è impulsiva, una non riesce a dire no, un’altra è molto risoluta, e infine una è illusa nel suo presente: quale tipo di donna ti senti di più?
Credo siano tutte caratteristiche che un po’ mi appartengono a seconda di diverse situazioni o relazioni. Sicuramente in gioventù ero molto più impulsiva e risoluta, poi alcune esperienze mi hanno cambiata e ora mi sento una donna equilibrata e serena.

Ci parli del tuo lavoro di personal trainer in LA? Quando e come è nata in te questa passione che ora è diventata un lavoro?
Il mio lavoro di personal trainer si basa sulla passione per il fitness che ho riscoperto qui in California quando mi sono trasferita una decina di anni fa. Frequentavo classi presso la famosa Gold’s gym di Venice Beach, quando un giorno la fitness manager mi ha suggerito di certificarmi come istruttrice di classi. L’ho presa un po’ come una sfida senza pensare ad un futuro in questo campo. Giorno dopo giorno, con studio e preparazione, mi sono resa conto che era ciò che mi faceva stare bene e che avrei dovuto perseguire la carriera da personal trainer. La mia filosofia sul training si basa non solo nel rendere le persone più attive e in forma fisicamente ma renderle più consapevoli, sicure e forti anche mentalmente ed emotivamente. Al momento oltre ad insegnare a classi presso varie palestre qui a Los Angeles, alleno i miei clienti presso studi privati, nelle loro abitazioni o all’aria aperta tra parchi e spiagge.

In cosa è stra-ordinaria la tua vita? Quale evento vissuto ti ha fatta sentire bene, ti ha fatto sentire di poter dire: “Ho raggiunto un traguardo?”
La straordinarietà della mia vita consiste nel non lasciarmi trascinare da eventi negativi e di cercare sempre il lato positivo in qualsiasi situazione.
Ho avuto la fortuna di incontrare persone che hanno creduto in me dicendomi che avevo un talento: quello di saper trasmettere energia alle persone, farle sentire a proprio agio e spronarle a migliorare.
Il mio business si basa su un motto che ho creato e che rispecchia la mia personalità: “Close your eyes and make a wish, open them and go for it” – Chiudi gli occhi ed esprimi un desiderio, poi aprili e raggiungilo.
Non dimenticherò mai il giorno in cui mentre allenavo un cliente alla Gold’s gym, Mr. Arnold Schwarzenegger mi prese sotto braccio, iniziò a parlarci dell’importanza del raggio di movimento nell’esecuzione degli esercizi e poi rivolto al mio cliente disse “She’s the best trainer!”
Mi inchinai per ringraziarlo e per poco non gli baciai i piedi!

L’archeologa Silvia Cipolletta si racconta su “Secondo Piano Scala B”

Silvia Cipolletta è un’archeologa romana che ci ha raccontato qualcosa di sé e del suo lavoro…

Il film “Secondo Piano Scala B” racconta la storia di 5 protagoniste che hanno caratteristiche molto diverse fra loro: una è accomodante, una è impulsiva, una che non riesce a dire no, un’altra è molto risoluta, e infine una è illusa nel suo presente: quale tipo di donna ti senti di più?

Credo di essere molto risoluta. Sono stata sempre una persona razionale, che vede la realtà in maniera molto pratica. Chi mi conosce dice che sono integerrima, quasi generalessa (ah ah ah), ma io sono orgogliosa di essere così. Affronto la vita prendendola di petto, non con impulsività, ma vivendo ogni istante al 100%.

Ci parli del tuo lavoro di archeologa? Quando e come è nata in te questa passione che ora è diventata un lavoro?
Sono un’Archeologa con la A maiuscola, mi piace definirmi così. Non è presunzione, ci sono tante colleghe archeologhe brave e capaci, ma quell’affermazione è frutto della soddisfazione personale nell’essere diventata quello che volevo, senza l’aiuto o la raccomandazione di alcuno, ma con la volontà e la determinazione.
Ero molto piccola, facevo la seconda o forse la terza elementare, quando, di ritorno da un gita ad Ostia Antica, dissi a mia madre che avrei fatto il liceo classico e poi l’università perché volevo diventare un’archeologa. Ricordo che mia madre mi rispose che c’era tempo e che avrei avuto modo di decider con calma cosa avrei fatto da grande. E invece il tempo è passato e questa passione non si è affievolita, anzi è cresciuta alimentata anche da insegnanti che mi hanno fatto amare la storia.
Il mio lavoro è il più bello del mondo, ma io sono di parte e non sono obiettiva. E’ il lavoro della mia vita, ma non è tutto rosa e fiori. Le difficoltà ce ne sono, e non poche, come la particolarità di lavorare costantemente in un ambiente maschile, solo maschile, con le caratteristiche che lo compongono, come i ritardi nei pagamenti etc.
Con il tempo ho imparato a gestire tutti questi aspetti, ma sicuramente una gran volontà e la grande passione mi hanno reso il compito più facile.
Mio marito dice sempre che quando sono in cantiere i miei occhi brillano di una luce particolare, anche quando torno a casa dopo una giornata lunga.

In cosa è stra-ordinaria la tua vita? Quale aneddoto o episodio o evento vissuto ti ha fatta sentire bene, ti ha fatto raggiungere un traguardo?
Non so se agli occhi degli altri la mia vita sembra stra-ordinaria. Io credo che lo sia perché a quarant’anni mi sento realizzata, come donna e come professionista. Credo che lo sia perché riesco a conciliare il mio essere moglie, mamma e archeologa (archeologa che lo fa davvero sul campo). Queste sono le mie tre anime e riuscire a gestirle tutte tre, ad incastrarle in modo perfetto come un puzzle mi fa vedere la mia vita come straordinaria.
Non c’è un aneddoto in particolare che mi ha fatta sentire bene; io sono felice ogni volta che ho le mani nella terra, intenta alla ricerca di qualcosa che appartiene al nostro passato. Mi sono sentita realizzata, quando ho dovuto recuperare e sistemare come nuova una documentazione archeologica (perché nella cooperativa di cui sono socia mi occupo anche della redazione e sistemazione delle documentazioni dei cantieri), redatta da altri e proveniente da un cantiere in cui io non ero mai stata e sono riuscita a farlo, ottenendo il plauso dei miei colleghi e della soprintendenza.
Ultimamente sono stata gratificata dall’affermazione di una maestra di una classe di bambini, con cui ho fatto un laboratorio di archeologia, la quale mi ha elogiata per la mia capacità di trasmettere ai bambini nozioni a volte difficili con semplicità e passione.
Ogni giorno in cui riesco a svolgere bene il mio lavoro è un traguardo.