L’archeologa Silvia Cipolletta si racconta su “Secondo Piano Scala B”

Silvia Cipolletta è un’archeologa romana che ci ha raccontato qualcosa di sé e del suo lavoro…

Il film “Secondo Piano Scala B” racconta la storia di 5 protagoniste che hanno caratteristiche molto diverse fra loro: una è accomodante, una è impulsiva, una che non riesce a dire no, un’altra è molto risoluta, e infine una è illusa nel suo presente: quale tipo di donna ti senti di più?

Credo di essere molto risoluta. Sono stata sempre una persona razionale, che vede la realtà in maniera molto pratica. Chi mi conosce dice che sono integerrima, quasi generalessa (ah ah ah), ma io sono orgogliosa di essere così. Affronto la vita prendendola di petto, non con impulsività, ma vivendo ogni istante al 100%.

Ci parli del tuo lavoro di archeologa? Quando e come è nata in te questa passione che ora è diventata un lavoro?
Sono un’Archeologa con la A maiuscola, mi piace definirmi così. Non è presunzione, ci sono tante colleghe archeologhe brave e capaci, ma quell’affermazione è frutto della soddisfazione personale nell’essere diventata quello che volevo, senza l’aiuto o la raccomandazione di alcuno, ma con la volontà e la determinazione.
Ero molto piccola, facevo la seconda o forse la terza elementare, quando, di ritorno da un gita ad Ostia Antica, dissi a mia madre che avrei fatto il liceo classico e poi l’università perché volevo diventare un’archeologa. Ricordo che mia madre mi rispose che c’era tempo e che avrei avuto modo di decider con calma cosa avrei fatto da grande. E invece il tempo è passato e questa passione non si è affievolita, anzi è cresciuta alimentata anche da insegnanti che mi hanno fatto amare la storia.
Il mio lavoro è il più bello del mondo, ma io sono di parte e non sono obiettiva. E’ il lavoro della mia vita, ma non è tutto rosa e fiori. Le difficoltà ce ne sono, e non poche, come la particolarità di lavorare costantemente in un ambiente maschile, solo maschile, con le caratteristiche che lo compongono, come i ritardi nei pagamenti etc.
Con il tempo ho imparato a gestire tutti questi aspetti, ma sicuramente una gran volontà e la grande passione mi hanno reso il compito più facile.
Mio marito dice sempre che quando sono in cantiere i miei occhi brillano di una luce particolare, anche quando torno a casa dopo una giornata lunga.

In cosa è stra-ordinaria la tua vita? Quale aneddoto o episodio o evento vissuto ti ha fatta sentire bene, ti ha fatto raggiungere un traguardo?
Non so se agli occhi degli altri la mia vita sembra stra-ordinaria. Io credo che lo sia perché a quarant’anni mi sento realizzata, come donna e come professionista. Credo che lo sia perché riesco a conciliare il mio essere moglie, mamma e archeologa (archeologa che lo fa davvero sul campo). Queste sono le mie tre anime e riuscire a gestirle tutte tre, ad incastrarle in modo perfetto come un puzzle mi fa vedere la mia vita come straordinaria.
Non c’è un aneddoto in particolare che mi ha fatta sentire bene; io sono felice ogni volta che ho le mani nella terra, intenta alla ricerca di qualcosa che appartiene al nostro passato. Mi sono sentita realizzata, quando ho dovuto recuperare e sistemare come nuova una documentazione archeologica (perché nella cooperativa di cui sono socia mi occupo anche della redazione e sistemazione delle documentazioni dei cantieri), redatta da altri e proveniente da un cantiere in cui io non ero mai stata e sono riuscita a farlo, ottenendo il plauso dei miei colleghi e della soprintendenza.
Ultimamente sono stata gratificata dall’affermazione di una maestra di una classe di bambini, con cui ho fatto un laboratorio di archeologia, la quale mi ha elogiata per la mia capacità di trasmettere ai bambini nozioni a volte difficili con semplicità e passione.
Ogni giorno in cui riesco a svolgere bene il mio lavoro è un traguardo.